Manca ormai poco al 31 agosto, data ultima entro la quale il governo Letta si è impegnato a fornire soluzioni strutturali per il superamento dell’Imu sulla prima casa nell’ambito di una revisione della tassazione sugli immobili. Ma le prime ipotesi di legge possono prefigurare lo scoppio della bolla del mercato immobiliare italiano? Siamo prossimi all’Armageddon immobiliare?
Ricapitoliamo: con il Decreto Legge n. 554 del 21 maggio 2013, all’articolo 1, il governo Letta aveva stabilito la sospensione dell’Imu, per quanto concerne la prima rata per gli immobili adibiti ad abitazione principale, i terreni, i fabbricati agricoli, gli immobili delle cooperative edilizie e le case popolari Iacp, mentre lo scorso 17 giugno hanno pagato l’Imu i proprietari di seconde case, di abitazioni signorili, ville, castelli delle categorie A/1, A/8 e A/9. All’art. 2, poi, il decreto stabiliva che per rispettare gli obiettivi programmatici primari indicati nel Documento di economia e finanza 2013 e in coerenza con gli impegni assunti dall’Italia in ambito europeo, in caso di mancata adozione della riforma entro la data del 31 agosto 2013, andasse ad applicarsi la disciplina vigente, e il termine di versamento della prima rata dell’imposta municipale propria degli immobili di cui al medesimo articolo 1 è già stato fissato al 16 settembre 2013. Ed ecco quindi che è iniziato il “teatrino” delle proposte e controproposte politiche, con ogni schieramento a fare sfoggio dei propri vessilli e dei propri cavalli di battaglia. Ma che cosa ci aspetta?
Secondo la proposta di legge numero 1122, dalla quale parte la risistemazione del catasto, il primo passo è il passaggio da vani catastali a metri quadri, proprio per adeguarsi alla realtà del mercato: il vano era ormai diventato un’unità ampiamente in disuso e fonte di disuguaglianza tra i vari mercati, basti pensare che la misura di un vano a Milano è di 18,12 metri quadrati mentre a Roma è di ben 19,40. L’aspetto più importante è pero la determinazione del valore imponibile su cui calcolare l’effettiva imposizione fiscale: secondo lo schema della sopracitata proposta di legge, la determinazione dei valori immobiliari si rifarà ai valori e ai dati che vengono pubblicati dall’Agenzia delle Entrate attraverso l’Osservatorio del mercato degli immobili che suddivide i vari comuni in aree e zone omogenee e che già è la fonte attraverso la quale vengono forniti i prezzi al metro quadro, sia per le vendite che per gli affitti. Per ottenere il valore finale verranno presi in considerazione anche altre caratteristiche dell’immobile: l’anno di costruzione, le condizioni, il piano a cui è situato l’appartamento ed anche la strada in cui sorge l’edificio.
Come riportato da Gino Pagliuca sul Corriere, secondo le prime stime, la revisione del catasto porterà a una crescita media del valore fiscale dell’immobile intorno al 60%. A Milano l’imponibile ai fini Imu sull’abitazione media salirebbe del 35,8%, mentre quello ai fini dell’acquisto finirebbe per crescere del 97,5%. Nella media nazionale l’imponibile Imu crescerebbe del 59,3% e quello ai fini dell’acquisto del 131,7%.
E qui è da evidenziare una prima complicazione: è la stessa Agenzia delle Entrate, che sul proprio sito riporta che i valori contenuti nella banca dati «non possono intendersi sostitutivi della “stima”, ma soltanto di ausilio alla stessa», e che «l’utilizzo delle quotazioni Omi nell’ambito del processo estimale non può che condurre ad indicazioni di valori di larga massima». Stiamo forse quindi per andare in contro al giudizio finale per il mercato immobiliare italiano, su valori che per altro sono solo “di massima”?
Partiamo dagli ultimi dati a disposizione: secondo Nomisma il 2013 dovrebbe essere ancora peggiore dell’annus horribilis del 2012, con previsioni di calo del prezzo mediamente superiore al 5%, con l’allungamento dei tempi di vendita a 8,5 mesi per l’acquisto di abitazioni, 10,4 mesi per gli uffici, 9,8 mesi per i negozi e 7 mesi per i box, e con un calo delle compravendite al di sotto delle 420mila unità (nel 2006 erano 870mila, ndr).
E a fronte di questa situazione, il governo sta per piazzare una bomba a orologeria. Spieghiamoci meglio: si parla di bolla immobiliare, quando i prezzi degli immobili si portano a un livello tale che diventano insostenibili in rapporto ai redditi medi o ad altri parametri economici. Secondo il rapporto Istat su “Reddito e risparmio delle famiglie e profitti delle società”, la spesa delle famiglie per consumi finali, misurata in valori correnti, è diminuita dell’1,4% rispetto al corrispondente periodo del 2012: questo significa che sempre più famiglie vedono ridursi il proprio potere d’acquisto, su cui potrebbe andare a gravare in autunno un’imposta che viceversa aumenta il proprio peso, e che quindi va ad assottigliare ancor di più i risparmi. Il colpo finale per le famiglie e il mercato immobiliare.
È difatti fuor di dubbio che il mercato immobiliare, in Italia (come per altro in gran parte dei paesi dell’Europa occidentale) è in una fase di paralisi: gli acquisti sono bloccati dalla mancanza di lavoro, e quindi di reddito disponibile, e dalle banche che non erogano più mutui; mentre per tentare di vendere, i proprietari sono costretti ad abbattere anche più del 30 per cento il prezzo richiesto. E nemmeno il mercato degli affitti regge del tutto, con i tribunali sommersi dalle udienze di sfratti per morosità.
Questa è la chiave di volta di tutta la questione: come affermato dalla Banca d’Italia lo scorso 13 giugno, in Italia l’incidenza delle imposte immobiliari sul totale delle entrate tributarie è «su valori relativamente bassi» anche tenendo conto dell’Imu. Non è un problema del peso delle imposte sulla casa in sé, ma del sistema economico del Paese nel suo complesso che ormai non regge più: la revisione del catasto è ormai imprescindibile, perché lo scostamento tra i valori di mercato e i valori catastali ha favorito i contribuenti più ricchi, ma ripetere la “mossa Monti”, ovvero agire in un colpo solo toccando esclusivamente coefficienti e statistiche (come fu a suo tempo con l’Imu che agì solamente sulle rivalutazioni e sui moltiplicatori esistenti), specie in una situazione di recessione economica, rischia davvero di segnare il de profundis per il bene da sempre più amato dagli italiani.