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Il problema non è l’Imu ma il catasto mai riformato (Linkiesta.it)

Il problema non è l'Imu ma il catasto mai riformato (Linkiesta.it)

E alla fine l’introduzione della Service Tax parte già in salita. All’indomani della cancellazione dell’Imu, o meglio del suo superamento, sono già partiti i “distinguo” e le prese di posizioni delle varie associazioni: quella degli inquilini, degli studenti e di Confedilizia. Ma se c’è un ambito della fiscalità immobiliare su cui tutte le forze politiche si dicono favorevoli a intervenire – non essendo però in grado di mettere mano, o non volendolo fare per un mero calcolo politico – è il fronte del catasto. la cui storia, e le cui incongruenze attuali sono in realtà la base sulla quale il Governo Letta ha cercato di mettere una pezza proprio con l’introduzione della Service Tax. Come siamo arrivati a questa situazione?

Il catasto si può definire come una banca dati, ovvero l’anagrafe dove sono registrati gli immobili di uno Stato. In Italia il catasto si divide in catasto terreni e catasto fabbricati e la sua funzione è principalmente fiscale, poiché i dati che contiene consentono di determinarne i redditi imponibili degli immobili.

Il catasto italiano ha avuto una storia travagliata. Dopo la proclamazione del Regno d’Italia, la prima legge sul tema fu la numero 1.831 del 14 luglio 1864, detta poi “legge sul conguaglio provvisorio”, poiché doveva durare fino al 1867. Successivamente, nel 1886 fu varata la legge 3.682, detta “legge Messadaglia”: stabiliva che tutti i comuni italiani si dovevano uniformare alla regola del Nuovo Catasto Geometrico Particellare, che prevedeva la registrazione delle proprietà dei terreni distinta da quella dei fabbricati e istituiva ufficialmente il Catasto Terreni e il Catasto Edilizio Urbano. Il nuovo catasto mirava a raggiungere lo scopo di accertare le proprietà immobiliari, tenerne in evidenza le mutazioni e perequare l’imposta fondiaria. A partire dal 1938, con il Regio decreto dell’8 dicembre 1938, n. 2.153, regolamento per la conservazione del Catasto Terreni, furono via via introdotte modifiche che avrebbero condotto alla separazione effettiva fra il catasto terreni e il nuovo catasto edilizio urbano. Il Catasto Fabbricati fu istituito con la legge dell’11 settembre 1939, modificata dal D.L. 8 aprile 1948, n. 514, ed entrò in vigore con il regolamento attuativo di cui al D.P.R. n. 1142/49, il Nuovo Catasto Edilizio Urbano (Nceu), e in conservazione il 1° gennaio 1962.

Nel 1962 l’impegno fu quello di procedere a un aggiornamento ogni 10 anni, in modo da fotografare il reale stato di fatto, e i cambiamenti in atto, ma così in realtà non fu: ci fu un’unica revisione, agli inizi degli anni ‘90, quando venne alla luce l’Isi (Imposta straordinaria sugli immobili), trasformata e consolidata l’anno seguente in Ici, Imposta comunale sugli immobili. Dal 1° gennaio 1997 le rendite catastali dei fabbricati, a norma dell’articolo 3, comma 48 della legge 23 dicembre 1996 n. 662, vanno rivalutate del 5 per cento. Infine la legge finanziaria per il 2005, la n. 311 del 30 dicembre 2004, nei commi 335 e seguenti dell’unico articolo, ha disposto la revisione della tassazione immobiliare, in particolare la revisione delle rendite, consentendo ai sindaci di riclassificare le microzone nelle quali il rapporto fra valori di mercato e catastali avesse superato il 35 per cento. L’anticipazione poi dell’Imu al 2012 con il “decreto Salva Italia” del Governo Monti, venne calcolata moltiplicando la rendita catastale, rivalutata del 5% – e del 25% sul reddito dominicale – con un moltiplicatore che è funzione della categoria catastale.

Ed è proprio questo uno dei punti focali: l’Isi, come poi l’Ici, e l’Imu si calcola sulla rendita catastale, un valore monetario necessario per valutare un’unità immobiliare da un punto di vista fiscale, per le imposte dirette quindi, e per quelle indirette, sulle successioni e donazioni, e le imposte ipotecaria e catastale. La rendita catastale si ottiene dal prodotto fra la consistenza dell’immobile dichiarata in vani catastali (per le abitazioni e gli uffici), o in metri quadrati (per i negozi) o in metri cubi (per gli uffici pubblici e gli alloggi collettivi), con una tariffa d’estimo, elaborata dall’Agenzia del Territorio, relativa al comune e alla zona censuaria dove sorge l’immobile, alla tipologia dello stesso in relazione alla destinazione d’uso (ordinaria, speciale, particolare). La zona censuaria individua la porzione del comune che presenta caratteristiche ambientali uniformi per tipo di costruzioni e di immobili presenti, oltre che a una prevalente destinazione socio–economica. La categoria individua in ogni zona censuaria gli immobili con la stessa destinazione d’uso; mentre, infine, la classe rappresenta il grado di pregio e di qualità dell’immobile.

Questa, in maniera estremamente sintetica, l’evoluzione e i parametri di calcolo dell’imposta sulle casa, con un unico filo conduttore: passano gli anni, le città si sviluppano e si ampliano verso le campagne circostanti, e quelle che in un tempo erano periferie diventano parte integrante delle città, nuovi cuori pulsanti di vita socio–economica, mentre nascono nuove cinture urbane e nuove periferie. L’aspetto che non cambia? I parametri di calcolo delle rendite catastali, che sono quelli originari del 1939, quando l’Italia era ancora un Regno e non una Repubblica: da allora tutti i governi che si sono succeduti hanno agito solo sulle tariffe e mai sul meccanismo di calcolo, che oggi più che mai non può più essere applicato all’attualità. E sono passati 74 anni.

Per capire le incongruenze prendiamo lo studio realizzato dal Dipartimento delle Finanze e dall’Agenzia del Territorio dal titolo “Gli immobili in Italia 2012”, i cui risultati fanno riferimento allo stock immobiliare al 31 dicembre 2010: sono 33.497.728 gli immobili censiti in Italia, di cui 19.684.111 le abitazioni principali. Le abitazioni “di lusso”, ovvero quelle rientranti nelle categorie catastali A/1 (case signorili), A/8 (ville) e A/9 (castelli) sono appena 73.680, e di queste sono 23.974 le abitazioni signorili. Ma per essere accatastate come“abitazioni di tipo signorile”, quelle della categoria A1, bisogna rispettare taluni parametri, tra cui ad esempio il fatto di essere più grandi di 240 mq, e di avere almeno «tre bagni con finiture eccezionali di tipo signorile», con ascensore e portineria.

Situazioni ampiamente presenti nelle nostre città principali, ma che spesso vengono inserite nella categoria catastale A/2 (abitazioni di tipo civile), semplicemente perché non superano i 240 mq, o non presentano finiture “signorili” su tutti i bagni. Case che quindi subiscono un’imposizione fiscale inferiore alle quotazioni di mercato. Situazioni che diventano poi eclatanti nel confronto tra periferia e centro città: ad esempio, mediamente, nel centro di Milano i valori catastali spesso non arrivano a un terzo dei prezzi di mercato. E più gli immobili sono pregiati, più la valutazione da parte del pubblico precipita: dodici, anche tredici volte più in basso, con l’effetto che in molte periferie del capoluogo meneghino l’imponibile fiscale è più alto che nel centro storico. Come risultato nelle carte del catasto scompare gran parte dell’Imu – e forse un domani della service tax – che il Comune incasserebbe se le classificazioni degli immobili fossero rispettate.

Ed ad accorgersi delle incongruenze è stata anche la Banca d’Italia, che lo scorso giugno nel corso di un’audizione alla VI commissione del Senato aveva evidenziato come la mancata riforma del Catasto impedisca un allineamento delle imposte sulla casa agli effettivi valori di mercato. Il divario attuale è così ampio da generare “fenomeni di iniquità”, con tendenza “a favorire i contribuenti più ricchi”. Per questo, sempre Banca d’Italia spiega che la revisione del Catasto «avrebbe effetti positivi sul piano distributivo».

Eppure qualcosa si muove: la proposta di legge 1.122, «delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita», dovrebbe mettere ordine al sistema attuale, anche se i primi testi evidenziano una potenziale situazione esplosiva, come avevamo riportato su Linkiesta lo scorso luglio. Tuttavia, ad oggi, come pubblicamente visualizzabile sul sito della Camera dei Deputati, è dallo scorso 8 agosto che non ci sono aggiornamenti alla suddetta proposta di legge, forse superata dalla discussione politica delle ultime settimane, fino al conferenza stampa dello scorso 28 agosto con l’eliminazione dell’IMU sostituita dalla service tax.

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