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Letta vende immobili per 1,5 miliardi, ma chi compra? (Linkiesta.it)

Letta vende immobili per 1,5 miliardi, ma chi compra? (Linkiesta.it)

Con la presentazione della Legge di Stabilità per il 2014, è stato ripreso ancora una volta l’argomento, sempre molto dibattuto negli ultimi anni (mai trasformato in realtà attuale e attuabile): la dismissione degli immobili pubblici. Le previsioni, che il Governo sottolinea siano prudenziali, ma che in realtà sono potenziali – due concetti ben diversi – parlano di reperire risorse per almeno 1,5 miliardi nel triennio di cui 500 milioni nel 2014. Possibile?

Un primo assaggio della modalità con cui il Governo intende dismettere gli immobili pubblici si è assistito la scorsa settimana con la “manovrina” da 1,6 miliardi di euro, per riportare il disavanzo pubblico sotto la soglia del 3%. Il Consiglio dei Ministri aveva trovato le risorse necessarie prevedendo tagli ai ministeri e ai trasferimenti agli enti locali, per un totale di 1,1 miliardi, mentre i restanti 500 milioni di euro saranno ottenuti vendendo immobili di proprietà dello Stato alla Cassa Depositi e Prestiti.

E qui si era verificato un evento curioso, quasi una “beffa”: sul filo di lana Invimit SGR, la società di gestione del risparmio partecipata al 100% dal Ministero del Tesoro, che secondo i piani dell’allora Ministro dell’Economia Grilli doveva avere il compito di dismettere, a regime, un punto di PIL all’anno tra immobili pubblici e partecipazioni azionarie, si era fatta soffiare lo scopo per cui era stata ideata e concepita. Il problema? La mancanza delle necessarie autorizzazioni ad operare da parte della Banca d’Italia, sentito il parere della Consob, che non erano giunte in tempo.

Ora, ottenuto il via da parte della Banca d’Italia, può prendere avvio il piano industriale 2013-2017 che era stato presentato lo scorso 6 giugno agli organi di via Nazionale. In sintesi, due saranno i filoni principali su cui si concentrerà l’attività di Invimit SGR: da un lato destinare risorse per i servizi pubblici, per esempio la costruzione di scuole, campus universitari, ospedali e RSA (residenze sanitarie per anziani), valorizzando al contempo i vecchi fabbricati svuotati; dall’altro incoraggiare il rapporto pubblico privato, ovvero far incontrare l’offerta, costituito dal patrimonio immobiliare pubblico, con la domanda privata costituita dagli investitori istituzionali, i fondi pensione, le compagnie di assicurazione e i fondi sovrani esteri.

Il patrimonio disponibile, in prima battuta, sarà quello di Stato, Regioni, Comuni, Asl, gli immobili della Difesa, degli enti previdenziali e di quelli non territoriali. Per far questo l’obiettivo del management della società è di creare un fondo di investimento in cui trasferire e gestire gli immobili pubblici (con un valore che potrebbe raggiungere i 6/8 miliardi entro il 2017), e un fondo di fondi, ovvero un fondo immobiliare che opererebbe entrando come quotista – con un pacchetto inferiore al 40% – in altri fondi di investimento gestiti dalle SGR private operanti sul mercato. Sul capitolo risorse finanziarie, Invimit riceverà una prima quota pari a 800 milioni, già stanziati in bilancio dall’INAIL (400 nel 2012 e altrettanti nel 2013), mentre un altro miliardo aggiuntivo circa dovrebbe essere versato sempre dall’INAIL alla SGR immobiliare del ministero dell’Economia tra 2014 e 2015. Anche l’INPS si è detta interessata al progetto.

Sull’opportunità di creare una nuova società per la dismissione degli immobili pubblici sono diverse le perplessità, ma resta fuor di dubbio che la manovra di Letta e Saccomanni può “semplicemente” ridursi a una partita di giro nei bilanci dello Stato: pur essendo sostanzialmente delle entità pubbliche dal punto di vista contabile, tanto Invimit SGR quanto la società di gestione del risparmio della Cassa Depositi e Prestiti (per la prima tranche di immobili inclusi nella “manovrina”) sono estranee al perimetro della pubblica amministrazione.

Ecco perché la vendita potrà essere registrata dallo Stato come una riduzione della propria spesa per investimenti. Da un punto di vista prettamente immobiliare la vendita degli immobili ceduti dallo Stato alla CdP Investimenti SGR sarà diretta, senza gare preventive, e l’importo complessivo (stimato, è bene sottolinearlo, in 525 milioni) è ritenuto relativamente basso dai tecnici del Demanio, in quanto trattasi di immobili pronti da vendere e dunque già valorizzati: dovrebbero essere non più di 50 edifici, tra dimore storiche ed altri asset di pregio, scelti nella rosa di quelli inseriti dall’Agenzia del Demanio negli elenchi del progetto “Valore Paese”. Per Invimit SGR, come detto, l’obiettivo è reperire risorse pari ad almeno 1,5 miliardi nel triennio 2014-2015 dalla vendita di immobili pubblici, di cui 0,5 miliardi nel 2014.

Tuttavia i problemi di fondo rimangono sostanziali: i valori (virtuali) degli immobili pubblici e la situazione del mercato immobiliare. Sul primo punto la questione è stata alquanto documentata da diversi articoli, e riguarda la reale consistenza del patrimonio immobiliare pubblico di cui non esistono dati certi e certificati e che, attenzione, non esiste più. E a dirlo è proprio Elisabetta Spitz, oggi amministratore delegato di Invimit SGR, in una intervista rilasciata a Italia Oggi nell’ottobre del 2011:

“Il patrimonio immobiliare dello Stato si è progressivamente assottigliato, in parte con le massicce dismissioni fatte fra il 2001 e il 2005, in misura consistente con la devoluzione in favore degli enti locali, prevista dal federalismo demaniale. I gioielli di famiglia non ci sono più. Allo Stato è rimasto il patrimonio strumentale: quello che, non più di sei mesi fa, i vari ministeri hanno dichiarato essere indispensabile per lo svolgimento delle funzioni statali.”

Ed è su questo punto che Letta e i futuri governi dovranno prendere atto. Non si tratta di vendere tout court ma di razionalizzare. Sempre dall’intervista all’ex direttore dell’Agenzia del Demanio Spitz a Italia Oggi:

Il patrimonio strumentale su cui oggi intervenire è costituito dalla somma degli «usi governativi», ossia degli immobili in uso alle amministrazioni dello Stato (circa 58,4 miliardi di euro di valore per quasi 14 mila immobili) e delle locazioni passive, ossia gli immobili che lo Stato occupa in affitto (circa 12,4 miliardi di valore per circa 7.200 immobili) che ammontano ad un valore complessivo di quasi 71 miliardi. In questi 21mila immobili, sparsi in tutti i Comuni d’Italia e soprattutto i capoluoghi, lavorano circa 750mila dipendenti pubblici, compresi le forze militari e di polizia (escludendo sanità, istruzione ed enti locali): «Per mantenere questo patrimonio, e in particolare per sostenere i costi di manutenzione e i costi di gestione, lo stato spende tra 1,5 e 2 miliardi di euro l’anno per le manutenzioni e tra 1,6 a 2,1 miliardi per il cosiddetto facility management. Inoltre, per stare in affitto, lo Stato spende poco meno 1 miliardo l’anno. In buona sostanza gli oneri generati dalla gestione del patrimonio immobiliare utilizzato si aggirano intorno ai 4 miliardi di euro l’anno».

Razionalizzare quindi, magari seguendo l’esempio di altri stati europei, come la Germania, che hanno una struttura dedicata che si occupa della gestione economica completa e orientata alla creazione di valore del patrimonio immobiliare federale dei vari Länder.

L’altro punto è la questione della situazione del mercato. Oggi il mercato immobiliare italiano, non solo a livello di compravendite come rilevato dall’OMI, l’Osservatorio del Mercato Immobiliare dell’Agenzia delle Entrate, ma anche di prezzo, come evidenziato nelle scorse settimane dall’ISTAT, vive una profonda fase di crisi e di prostrazione, e, per diversi aspetti, di cambiamento dei paradigmi, in primis sociale. L’immobile, e la casa in particolare, non è più il “tesoretto” di famiglia, ma è diventato il bancomat dei Governi, e le vicende IMU, service tax e Tirse non fanno altro che evidenziare questa situazione: lo Stato ha bisogno di nuove fonti d’entrata, e semplicemente tassa quello che non può essere trasferito all’estero. Ecco quindi che la vendita di immobili pubblici può aiutare (sulla carta) i conti dello Stato, ma rischia di rivelarsi controproducente se gli immobili risultassero semplicemente “parcheggiati” nella Cassa Depositi e Prestiti, o nei futuri fondi di investimento istituiti da Invimit SGR.

Dismission Risk Appetite

Specie perché gli investitori istituzionali esteri, su cui punta Invimit SGR per i prossimi anni, guardano all’Italia, magari con un maggiore interesse rispetto a solo qualche anno fa, ma sempre partendo dalle retrovie (come dimostra il grafico qui sopra).

Il giudizio quindi, al momento, non può che essere sospeso, in attesa delle mosse concrete degli attori in gioco. Resta il fatto che, questa volta, la strada intrapresa pare abbia una strategia di fondo di lungo respiro, ma che dovrebbe essere comunicata diversamente: non una dismissione del patrimonio immobiliare, ma la sua razionalizzazione. Alla prossima puntata.

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